La campagna pubblicitaria sbagliata di Gillette
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La campagna pubblicitaria sbagliata di Gillette

 

La campagna 'we believe': un nuovo messaggio per una nuova mascolinità.

 

Nel gennaio 2019, Gillette, il famoso brand di rasoi e prodotti per la cura maschile, fece parlare di sé con una campagna pubblicitaria innovativa, ambiziosa e, senza dubbio, rischiosa. L'azienda, nota per il suo slogan storico "The Best a Man Can Get", decise di rivedere il proprio posizionamento sul mercato, lanciando lo spot "We Believe: The Best Men Can Be". La campagna aveva l'intento di sfidare e ripensare il concetto di mascolinità, invitando gli uomini a combattere comportamenti tossici, come il bullismo, le molestie sessuali, e gli stereotipi di genere.

 

Lo spot, che durava quasi due minuti, mostrava una serie di scene emblematiche: ragazzi che si prendevano gioco dei compagni di scuola, uomini che molestavano donne o usavano un linguaggio sessista, e immagini di notizie recenti riguardanti il movimento #MeToo. Il messaggio di Gillette era chiaro: la mascolinità poteva e doveva essere ridefinita, abbandonando atteggiamenti violenti o aggressivi a favore di una responsabilità sociale più elevata e un rispetto maggiore verso il prossimo.

 

Con la nuova versione dello slogan "The Best a Man Can Be", Gillette cercò di trasformarsi in un promotore attivo di una "nuova mascolinità", spingendo gli uomini a diventare una versione migliore di sé stessi, superando gli atteggiamenti tradizionali dannosi e, allo stesso tempo, diventando modelli positivi per le generazioni future.

 

Una risposta polarizzata: tra lodi e critiche.

 

Nonostante le buone intenzioni di Gillette, la reazione del pubblico allo spot fu fortemente polarizzata. Da un lato, ci furono coloro che accolsero con entusiasmo il messaggio della campagna, lodando il brand per aver affrontato apertamente temi difficili come la violenza di genere, il bullismo e il sessismo. Molti sostenitori della campagna videro nel messaggio di Gillette un invito positivo e necessario a riflettere sul comportamento maschile e sul ruolo degli uomini nella società moderna.

 

Tuttavia, dall’altro lato, una parte significativa del pubblico interpretò la campagna in modo molto diverso. Alcuni criticarono Gillette per aver lanciato quello che percepirono come un attacco generalizzato alla "mascolinità tradizionale", accusando lo spot di moralizzare eccessivamente, insinuando che tutti gli uomini avessero bisogno di cambiare i propri comportamenti. Molti uomini si sentirono insultati dall'implicazione che fossero parte di un problema più ampio, e accusarono Gillette di fare "virtue signaling", ovvero esibire la propria superiorità morale per scopi commerciali.

 

Su piattaforme come Twitter, Facebook e YouTube, la campagna divenne rapidamente virale, ma non nel modo sperato dall'azienda. I commenti furono divisi tra chi difendeva il messaggio e chi invece lo condannava apertamente, spesso dichiarando di voler boicottare il brand e di rivolgersi a marchi concorrenti per i propri acquisti futuri.

 

L'impatto sulle vendite e sull'immagine del brand.

 

Dal punto di vista commerciale, l'effetto immediato della campagna non fu positivo per Gillette. Sebbene la pubblicità avesse raggiunto un alto livello di visibilità globale, l'azienda subì una perdita significativa di clienti, che dichiararono apertamente sui social media di essere passati ad altri brand. Gillette vide un calo delle vendite stimato in milioni di dollari e, secondo alcuni analisti, la campagna contribuì anche a un abbassamento delle quote di mercato.

 

Al di là delle perdite economiche, la campagna pose in evidenza una domanda più profonda: fino a che punto i brand possono permettersi di affrontare temi sociali e politici senza rischiare di alienare una parte significativa del loro pubblico? Gillette, nel tentativo di ridefinire la propria immagine e posizionarsi come brand socialmente consapevole, aveva effettivamente creato un messaggio polarizzante, che finì per mettere in discussione la lealtà di alcuni clienti.

 

Questo caso si inserisce in un contesto più ampio di "brand activism", un fenomeno sempre più diffuso in cui le aziende si impegnano a favore di cause sociali, ambientali o politiche. Se da una parte questa scelta può portare a un rafforzamento della brand identity e ad attrarre consumatori che condividono gli stessi valori, dall’altra comporta il rischio di alienare segmenti del mercato che non si identificano con tali posizioni o che ritengono inappropriato il coinvolgimento di un brand in dibattiti sociali.

 

Il dilemma dei brand tra messaggio sociale e mercato.

 

Il caso di Gillette è emblematico di un problema più ampio: come può un’azienda sostenere cause sociali senza danneggiare la propria base di clienti? Negli ultimi anni, sempre più brand hanno deciso di prendere posizione su questioni sociali importanti, dalla diversità e inclusione alla sostenibilità ambientale, spesso nella speranza di distinguersi dalla concorrenza e di instaurare un legame più profondo con i consumatori.

 

Tuttavia, il rischio è evidente: non tutti i consumatori sono disposti ad accettare messaggi sociali all’interno della pubblicità, soprattutto se questi vengono percepiti come moralizzanti o politicamente schierati. Nel caso di Gillette, lo spot "We Believe" mirava a ridefinire la mascolinità, ma non tutti gli uomini erano pronti ad accogliere questo cambiamento o a sentirsi parte di una discussione critica sul loro comportamento.

 

Cosa può insegnare questo caso al mondo del marketing?

 

La vicenda di Gillette mostra come le campagne pubblicitarie che affrontano temi sociali delicati debbano essere pianificate con attenzione, considerando le possibili reazioni del pubblico e l’impatto sull’immagine del brand. Perché un messaggio sociale funzioni, deve essere autentico e coerente con i valori e la storia dell'azienda, e deve saper parlare a tutti i segmenti del mercato senza alienarne una parte significativa.

 

Inoltre, è fondamentale che il messaggio sia trasmesso in modo equilibrato e non percepito come un attacco personale o una moralizzazione eccessiva. In molti casi, l'approccio migliore è presentare la causa in modo positivo e inclusivo, invitando i consumatori a unirsi al brand nel portare avanti il cambiamento, piuttosto che colpevolizzarli o stigmatizzarli.

 

L'importanza di una strategia equilibrata e inclusiva.

 

Il caso di Gillette è una lezione per tutte le aziende che vogliono affrontare temi sociali nelle proprie campagne. Studio Aschei, con i suoi 40 anni di esperienza nel marketing e nella consulenza aziendale, offre le competenze necessarie per sviluppare strategie di comunicazione che risuonino con i valori dei tuoi consumatori, evitando rischi e polarizzazioni indesiderate. La nostra consulenza ti aiuta a creare messaggi equilibrati, autentici e inclusivi, garantendo che la tua campagna arrivi nel modo giusto e con il giusto impatto, contribuendo al successo del tuo brand senza comprometterne la reputazione. Affidati a Studio Aschei per costruire una comunicazione che sia davvero "the best a brand can get".

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